martedì 16 dicembre 2008

LEGISLAZIONE


Dall'urto degli interessi escono le idee sulla legislazione; le sventure gettano sul campo della scienza que' problemi terribili che vanno a distruggere il passato, ad assicurare il commercio; i vincoli del feudalismo, le profusioni, i fallimenti nazionali forzano i popoli a riflettere sulle sorgenti della ricchezza, sulla forma dei governi, sulla sorte delle nazioni.
Il lusso è l'alimento del commercio e il flagello del feudalismo, e il problema del lusso esagita le idee ; sembra anzi che per alcuni scrittori il problema del lusso involga tutti i problemi dell'economia pubblica.
Il commercio si collega all'agricoltura come il lavoro alla materia; ma la bilancia degli interessi ora pende in favore delle terre, ora in favore dell'industria; e si domanda quindi, quale tra la terra o l'industria sia la fonte della ricchezza? bisogna preferire il commercio o l'agricoltura, la manifattura o le terre?
Questa questione ingrandisce e inviluppa i costumi; il governo, i pensatori del secolo si domandano, se val meglio l'agricoltura di Sparta o il commercio dell'Inghilterra? — Nessun commercio senza lavoro, nessun lavoro senza speranza di guadagno, nessuna speranza di arricchire, se le leggi non assicurano il frutto dell'industria; senza libertà, senza giustizia, senza sicurezza, nessun commercio; i ricchi allora seppelliscono i loro tesori, i capitali scompaiono, le fabbriche restano vuote, gli operai diventano o paesani o ladri; non è che la giustizia che getta il ladro nel commercio, i capitali nelle fabbriche: ed ecco che il commercio nel secolo XVIII rivede le leggi, gli statuti, vuol codici, si solleva contro le primogeniture; i fidecomessi che tengono le terre ne' vincoli della feudalità, si elevano contro le mani morte che sottraggono alla circolazione immense ricchezze contro l'ozio de' ricchi, de' monaci, de' nobili, i quali vivono sul lavoro de' poveri, e rappresentano dinanzi al commerciante una sterile superfetazione della società. — In mezzo a tutte questo fasi del pensiero mercantile del secolo vi sono alcuni spiriti tristi offesi dall'ordine sociale, calpestati dalle ineguaglianze fortuite della nascita, delle ricchezze, dei poteri; la civilizzazione pesa su di essi come una iniquità imposta dalla forza architettata da odiose menzogne; essi utilizzano tutte le guerre del commercio e dei proprietari, della filosofia e della religione, del lusso e della moralità ; essi vedono il selvaggio senza i vizi del commercio, senza le aspettative divoranti dell'Europeo, senza le menzogne del seguace di Lutero, senza la cieca obbedienza del suddito di Luigi XV, e vanno a domandarsi se la civilizzazione è il prodotto della forza e della menzogna, se vale meglio l'arte o la natura, la vita pacifica del selvaggio o le sventure della società incivilita, se all'uomo della natura sono assolutamente necessari cannoni da 24, armate permanenti, gran debiti pubblici....
fonte: Opere di Giambattista Vico - G. Ferrari - 1887 - Soc. Tipog. De' Classici Italiani

venerdì 7 novembre 2008

SE IL DANARO FACCIA RICCHEZZA


Ho stabilito sin da principio che la ricchezza non consiste in una o in tal'altra
cosa, ma in una somma di piacevoli sensazioni, che in noi viene prodotta dal godimento dei beni.

Dunque l'oro e l'argento non è ricchezza esclusiva, ma al più può
entrare nella massa dei beni. Ed anche sopra di ciò è da osservarsi, che il danaro
comparisce nella società sotto due aspetti, cioè come metallo servibile a molti usi
della vita , ed allora va collocato fra i beni ; e può formare parte della ricchezza, come il grano, il vino, la seta, la lana ec., o come moneta coniata , ed allora non costituisce ricchezza, ma è un semplice istrumento o una macchina di circolazione, che ho chiamato equivalente dei beni; onde è chiaro, che avendo da una parte la massa dei beni, e dall' altra la massa degli equivalenti noi fonderemo i nostri godimenti sui beni, e non sugli equivalenti, perchè l' equivalenza non è che una opinione o una rappresentazione, la quale svanisce se cessa l'umano consentimento, e non rimane veramente, che la realtà dei rappresentati, cioè i beni.

Supponiamo che vi sia nella nazione un milione di beni, e vi sia un milione di
scudi; ogni bene sarà misurato dal suo equivalente, cioè da uno scudo; e se gli equivalenti montassero a due milioni, ogni bene sarebbe misurato da due scudi; e se finalmente gli equivalenti scendessero a mezzo milione, ogni bene sarebbe misurato da mezzo scudo.

Ora quale è la conseguenza dell'alzamento, o dello abbassamento degli equivalenti? nessuno affatto in quanto alla prosperità della nazione, mentre i beni consumabili
si trovano nella stessa quantità, e ciascuno partecipa alla sua porzione qualunque
siasi il cambiamento avvenuto nella massa del danaro.

Ma se i supposti cambiamenti accadessero nella massa dei beni, la differenza sarebbe allora sensibile; imperciocchè la porzione dei beni, che tocca a ciascuno, ora si raddoppiarebbe, ed avressimo doppio accrescimento di ricchezza, ed ora si ridurrebbe a metà, ed avressimo doppio decrescimento di ricchezza.

Dunque il danaro in ogni combinazione non altera per se stesso lo stato economico, ed altro non succede, che in ragione della sua massa ora si da più, ed ora si da meno di danaro nel cambio di esso coi beni. Ma se il danaro non fa ricchezza, perchè
mai le nazioni, che più abbondano di esso, hanno preponderanza sulle altre, sono più
potenti, ed ogni classe di persone nuota nell'abbondanza, e consuma più beni, e
quindi gode più comodi, e piaceri?
L'inganno consiste che noi crediamo, che questa potenza, quest'abbondanza di beni, questi comodi e piaceri siano il frutto, o la conseguenza del danaro; ed all'opposto l'abbondanza del danaro è il frutto, e la conseguenza dei beni; e però non il danaro, ma i beni sono gli antecedenti, e il danaro il conseguente. E in fatti da che il danaro è divenuto l'equivalente dei beni, è forza che il danaro siegua sempre da vicino i beni, come è anche vero, che i beni seguono il danaro; onde queste due cose non possono restare separate, come l'ombra non puo' essere divisa dal suo corpo. Ma siccome il corpo genera l'ombra, così può dirsi, che i beni generano il danaro. E intanto accade questo fenomeno, perchè i beni, per l'ordine introdotto, non potrebbero circolare nè pervenire al consumatore senza il danaro, che ne è di venuto il veicolo; onde se i beni non potessero circolare nè consumarsi, nè anche si produrrebbero.
Ed ecco in che consiste l'utilità del danaro, che esso diviene causa indiretta di produzione di beni, e non si deve considerare, che sotto questo punto di vista. E' costante osservazione, che dove sono beni, ivi corre e si raduna il danaro, e dove è danaro, ivi corrono e si radunano i beni. Allorchè in una fiera concorrono da tutte le parti i mercatanti a portar merci di ogni qualità, non è minore la frequenza di quelli, che vi si recano con danaro per farne l' acquisto.
fonte: DELL'ECONOMIA DELLA SPECIE UMANA - Adeodato Ressi - Stamperia e Libreria P. Bizzoni - 1869

lunedì 13 ottobre 2008

DEL CORSO DELLA MONETA

Io chiamo correre la moneta quel passare ch'ella fa d'una mano in un'altra come prezzo d'opera o di fatiche, sicchè produca, in colui che la da via, acquisto o consumazione di qualche comodità: perchè quando si trasferisce diversamente fa un rigiro inutile, di cui non intendo qui favellare.
Così se il principe destinasse mille ducati, i quali ogni mattina dovessero trasportarsi dalla casa d'un suo suddito a quella d'un altro, un tanto giro nè gioverebbe allo stato, nè accrescerebbe forze o felicità, ma solo molestia e strapazzo a' cittadini. È adunque il corso della moneta un effetto, non una causa
delle ricchezze; e se non si suppongono preesistenti molte merci utili che possano trafficarsi, la moneta non può far altro che un giro vano ed infruttuoso. Perciò quegli ordini che conferiscono a moltiplicar le merci venali sono buoni, gli altri sono tutti cattivi e dannosi.
Stieno in una camera chiuse cento persone con una certa somma di danaro a giuocare. Dopo lungo giuoco avrà il danaro avute certamente iunumerabili vicende, ed altrettante la ricchezza e la povertà de'giuocatori; ma il totale non è nè cresciuto nè diminuito mai, e nel luogo non si può dire variata la ricchezza. Vero è che il mancare il corso impedisce il proseguimento delle industrie e perciò genera povertà, come pel contrario il corso veloce le fomenta; ma chi ben riguarda osserverà, che il corso della moneta può ingrandire e stabilire le ricchezze già cominciate ad essere in uno stato, non generarle ove non sieno.
Sicchè sempre è vero che s'abbia a pensare prima ad aver merci e poi a dar loro il corso, acciocchè vendute e consumate presto le une si dia luogo alle altre di succedere. E vero ancora che un rapido giro fa apparire una non reale ricchezza; come è là dove la nobiltà vive con lusso e spese superiori alle rendite sue, e i
debiti che fa non li paga. I nobili non si persuadono d'essere impoveriti; ma il mercante che numera i suoi crediti come certa ricchezza si stima ricco, e sulla creduta rendita ingrandisce la spesa; fino a che tutti e due, il nobile ed il mercatante, vanno giù poveri e troppo tardi disingannati.
È dunque tanto peggiore un tale rigiro pieno di fantasmi di ricchezze, quanto è peggiore della povertà il credersi ricco e non esserlo.
fonte: Della Moneta - Ferdinando Galiani - Fonderia e Stamperia G.G. Destefanis - 1830

mercoledì 1 ottobre 2008

IL MUTUO


E' il contratto con cui cose rappresentabili (non determinate individualmente) vengono date altrui in proprietà perchè si possano anco consumare, mercè però l'obbligo della restituzione d'una simile quantità di cose della stessa specie.
Nel mutuo come trattasi di beni rappresentabili, può interessare anco il concetto economico nazionale del capitale, come un fornimento di beni. In quella stessa guisa
che pel valore di uso e di scambio d'un capitale è specialmente fondala la rendita, così in un capitale di mutuo, è basato l'interesse.
A cagione della somma influenza che siffatti negozii giuridici tanto frequenti esercitano sovra la vita morale economica, le legistazioni, tanto la romana quanto le recenti introdussero una limitazione nelle condizioni degli interessi, prescrivendo a questi una scala.
La legistazione del medio evo appoggiandosi ai precetti della chiesa che derivolli dall'evangelio, confondendo la esigenza religiosa morale col punto giuridico di stato, e sconoscendo in genere la natura della rendita, avea vietato del tutto gli interessi, come usura, ed all'incontro permesso le rendite (comprese di valori) pei debitori più vantaggiose.
Nei tempi nostri, un'economia nazionale astratta, collegata con dottrine di diritto e di contratti, pure astratte, esige la soppressione di tulle le leggi sull'usura, e vuole illimitata la gradazione degli interessi.
Ma comunque sia pur cosa giusta che la misura degli interessi si trovi mutevole a norma de rapporti, avvegnachè non la si possa per nulla acconciamente determinare invariabilmente da leggi costanti, tuttavia il limite degli interessi dovrebbe uniformasi per gli affari privati, alla misura adottata pubblicamente oggidì in tutto i grandi stati, da pubblici regolatori che trovatisi sotto la controlleria della opinione sociale e dello stato, cioè dalle pubbliche banche ipotecarie, e dalle istituzioni di prestito (1). Però innanzi tutto convien provvedere alla formazione di istituti di credito (non di borsa) bene organati, se vuolsi che
il libero commercio privato riceva norma da una libera potenza sociale .
Fonte: ENCICLOPEDIA GIURIDICA OVVERO ESPOSIZIONE ORGANICA DELLA SCIENZA DEL DIRITTO E DELLO STATO FONDATA SUI PRINCIPI DI UNA FILOSOFIA ETICO-LEGALE - PROF. H. AHRENS - STABILIM. CIVELLI G. E COMP. - 1857

mercoledì 10 settembre 2008

METODICA DEL MAESTRO ELEMENTARE


Pochissimi maestri (per non dir quasi ninno) hanno frequentato un corso di lezioni teorico-pratiche intorno alla migliore e più adatta maniera di istruire ed educare
la gioventù. Si è prescritto per legge l' insegnamento simultaneo, che si sa praticarsi con molto fratto in quasi tutte le bene avviate scuole degli altri paesi ; ma intanto, perchè il più de' maestri non sanno di metodo , tirano
avanti coll'insegnamento individuale, di cui è noto a chi ha studiato in queste materie come vada accompagnato in ogni scuola , alquanto numerosa, con una folla di inconvenienti gravissimi, come a dire che mentre uno scolaro viene istruito, gli altri se ne stanno quasi tutti inoperosi e distratti; che l'apprendere le materie elementari è opera di molti anni; e che per conseguenza li quattro quinti degli allievi abbandonano la scuola che non sono ancora a mezzo istruiti nella lettura, molto meno poi nella scrittura, nel far conti e nel comporre. Se qualche impreveduta circostanza non sopraviene, un primo corso di metodica sarà aperto in quest'anno da un professore di esimio merito, espressamente chiamato dall' Autorità cantonale. Sarà quello un insigne benefìzio non tanto per li maestri comunali e per gli aspiranti alla stessa professione quanto per la gioventù de' Comuni dove essi terranno in seguito la loro scuola. — Al mutuo insegnamento, introdottosi dieci
anni fa in alcune scuole, fu fatta guerra a morte.
La Svizzera Italiana - Stefano Franscini Ticinese - Tip. di G. Ruggia e Comp. - 1837

martedì 12 agosto 2008

APPENDICE LIBERALE

Quindi vedemmo che tutte le volte, in cui avvenne, o parve dover avvenire,
una riforma politica , per la quale uno stato cattolico passasse ad aver governo più liberale (e ciò non solo in Italia, ma anche altrove), la Chiesa romana ne appalesò sempre gravissimo rancore.
Un potere dommatico, che vuol dominare solo, non può amare se non un potere politico, che gli rassomigli. Questo pretende servi obbedienti, e quello glieli forma ne' suoi sommessi credenti.
L'uno vuol vassalli senza replica, l'altro devoti senza scrutinio; e perciò l'uno sostiene l'altro. Quindi si osserva una scambievole antipatìa invincibile , anzi un vicendevole distruggersi inevitabile , fra il catolicismo, e il liberalismo. Nè può essere a meno, poichè ognuno de' due sente ch'essi sono elementi opposti come l'acqua e il fuoco; e qualunque dei due è più forte, finisce sempre
con sopraffar l'altro.
Istoria del progresso e dell'estinzione della riforma in Italia nel secolo sedicesimo - Thomas Maccrie - Baudry Libraio - 1835

giovedì 3 luglio 2008

IL VALORE, LA MONETA

.... qui dirò solamente che l'oro è metallo così prezioso e necessario , e gli errori in esso sono tanto gravi che si converrebbe trattarlo del tutto come mercanzia e gemma, anche se nella zecca propria fosse coniato.
L'esperienza ha fatto conoscere a'sovrani, che era bene lasciarlo correre a peso e non sull'autorità del conio , e perciò dappertutto s'usa pesarlo, e l'impronta assicura solo il prezzo al peso ; sicchè in parte già si tratta come mercanzia. Io desidero e prego il ciclo che faccia anche conoscere a chi regge quest'altra
verità, che siccome il peso è lasciato al libero esame di ciascuno così si avrebbe a
lasciare anche il valore, e l'impronta riserbarla solo ad autorizzare la bonta della lega. Così facendosi avrebbe perfettissimo regolamento la moneta e non si richiederebbe tanta arte e studio a medicare i mali che in quel caso non potrebbero generarsi in lei.
So bene che la cognizione delle verità appartenenti al governo
è lentissima, e più lenta ancora è l'introduzione di que'miglioramenti che da gran
tempo sono già conosciuti , onde sembra più da desiderare che da sperar questa cosa : ma non ne dispero ancora , fidato sulla virtù del principe che ci governa.
Nelle cose della politica non è come nelle altre scienze che sempre si vanno di dì in di migliorando : esse non hanno continuata progressione.
Economisti Italiani - Parte Moderna tomo III - F. Galiani - Stamperia Destefanis 1803

venerdì 27 giugno 2008

MAGISTRATI

274. Il fare le Leggi è del Principe, amministrarle è de' Giudici.
275. Dalla scelta de' Magistrati dipende la buona, o la cattiva amministrazione delle Leggi.
276. La Magistratura forma il decoro dello Stato, e lo Stato si modifica dalla Magistratura.
277. Virtù, e non oro, fama e non impegno, ecco tutto quello che si richiede nella scelta de' Magistrati
279. La natura riserba a se il dritto di collocare i talenti , e lascia ai Sovrani quello di produrli.
280. Il Magistrato vuol essere Giusto, Istruito, ed Impavido.
281. La giustizia deve esser per lo Magistrato una virtù di tutti i luoghi, e di tutti i tempi.
282. Voler sembrare giusto senza esserlo in realtà è il colmo della ingiustizia.
283. In vano si lusinga il Magistrato di amare la giustizia, se non ha la fermezza di difendere le verità.
284. I Giudici retti sono servidori del Principe, e Padri del popolo, i Giudici venali sono assassini del popolo, e traditori del Principe.
285. Si conosce la bontà del Magistrato dalla fiducia, che in lui ripongono i cittadini.
286. Non si può esser giusto, se non si conosce la verità, non si può giungere alla conoscenza del vero, se non si è abbastanza istruito.
287. Il cumulare più cariche in una medesima persona è lo stesso, che accatastare senza speranza, ed è un perdere senza ricuperare.
Massime Scelte per lo buon Governo degli Stati - D. FRANCESCO CORONA - Napoli - F. Masi Tipografo 1831

giovedì 12 giugno 2008

L'IMPOSTA PROVINCIALE


A primo aspetto non è convenevole alla giustizia distributiva il sistema dell'imposta provinciale, perchè sembra disdire alla medesima, che gli abitanti di una provincia concorrano al pagamento dei debiti di un'altra.
L'imposta è generalmente considerata come un sagrificio, che un cittadino fa di una parte del suo patrimonio, onde godere con sicurezza del rimanente. Ora la
spesa, che si sostiene dai direttori di una provincia, torna indifferente per chi tranquillamente vive in altra provincia. È egli giusto, dirà taluno, obbligare
Tizio a pagare i debiti di Sempronio, col quale non ha altro rapporto che il vincolo di umanità?
Allo stesso modo é contraddittorio alla giustizia, che gli abitanti di una provincia paghino i debiti di un'altra, colla quale non hanno altro rapporto che di rendere omaggio e di prestare obbedienza allo stesso Re.
La natura con poche leggi regge e governa l'universo. L'accorto politico ne' suoi divisamenti la deve secondare. La separazione del tributo generale dall' imposta delle singole provincie non fa che moltiplicare le operazioni del politico senza
alcuna vista di pubblica utilità.
Il Censimento Milanese - Natale Cotta Morandini - Niccolo' Bettoni e Comp. 1832

mercoledì 14 maggio 2008

DECADENZA


Ma il punto sta nel vedere dove in verità esiste decadenza: o in noi o nelli altri o in nessuno? E però sgraziatamente ci siamo detti decadenti e, non essendolo forse, resteremo.

Decadenti però non in quanto all'opera, ma in quanto alla vita: decadenti, perchè ogni cosa che ne circonda, scienza, religione, forma politica, economia, si tramutano, nè il tramutarsi è senza una fine, nè la fine è senza una morte od una rovina: nè senza morte e putredine havvi nuova vita. Se ciò è dunque vero, quale arte, quale rappresentazione grafica o plastica è possibile che sia l'espressione dei tempi nostrì, di questa lotta contro il già fatto per il fare nuovissimo, di questo abbattere il finito e l'incatenato per la libertà?

Ogni passo avanti che calpesti un pregiudizio, una forma sussistente non nella coscienza ma nell'aspetto, un diritto che si fonda non sull'eguaglianza ma sulla disparità, una sanzione che consacri non la universalità ma il singolare, un privilegio che difenda non una sostanza ma un'apparenza: questo passo sarà sempre una conquista nel campo morale e materiale della società: la comunità non rivolge mai le spalle alla meta: fuorvia e vaga, e sarà allora davanti ad un ostacolo troppo prepotente, per scansarlo, o per seguire più alacremente il pensiero, cui il desiderio suscita coll'urgenza alla fine, ma che il potere non consacra nè concede. La comunità si riposerà, ma come un naviglio che scenda per la corrente e non apra vela o stenda remo per aiutare il cammino: la corrente, di natura, lo porterà con sè alla foce. Questa è decadenza: nè io comprendo altra decadenza che, passato l'impeto dell'azione muscolare e di un rivolgimento assodato di nazioni e di società, la sosta del pensare sociale per l'attuazione di nuove utilità migliori, quando già le prime ed antiche l'uso stesso abbia logorato, che, decrepite, siano vicine ad essere insufficienti.

Decadenza quindi rispetto a noi, non rispetto alla filosofia della storia, decadenza nel rapporto, in quanto ricerchiamo la sostanza nuova di tutte le cose, la quale non solo abbia informato l'antico modo, ma ora per nuova virtù lo abbatta e ne costruisca uno migliore; decadenza in quanto lottiamo ad impadronirci di questa sostanza, forma e materia addoppiata, mentre l'idea brilla ed il mezzo di renderla evidente e sicura manca, ma verrà trovato.

E perchè allora cercando il nuovo si torni all'antico? Esistono forme immemoriali indistruttibili, segni percepiti e già svolti che identificano l'umanità nel simbolo. Il simbolo è come l'esistenza: nè l'esistenza manca d'evoluzione, perchè continuo moto, nè come esistenza è privo di meta per quanto sia. Le attitudini umane, le forze, vale a dire i vizi e le virtù, esistono quindi colla vita; da questi la rappresentazione, ossia la percettibilità di questi enti astratti al pensiero e quindi il simbolo primordiale, che è il rapporto della sostanza morale descritta, come la formola fisica e matematica è il rapporto del fatto che vuol esprimere. Il progresso evolve pel tempo e per la educazione queste prime attitudini, ma tramutandole non le sopprime, come le rivoluzioni riformano la società ma non la annullano; ed allora il simbolo moderno.

Civiltà fu sempre come rapporto al già fatto: simbolo nostro è in quanto vogliamo fare.—Arte usò sempre di queste imagini, le piegò alle esigenze del tempo e dell'uomo, ma lasciò intatta ed invincibile la sostanza prima: arte fu eclettica, nè volgesi a sè stessa solamente, che allora è artificio dannoso; ma per la sua maestà, per la sua bellezza, per la sua grazia s'impose all'uomo e fu prima scienza di sentimento, storia di sensi, armonia di parole avanti che sorgessero la musica, le scienze e le religioni.—Che è altro arte se non una serie di rappresentazioni; che le rappresentazioni se non una serie di imagini?

Ora, l'imagine è un rapporto dell'ente naturale diretto, o, nel semplice sforzo di fermarlo, l'elemento umano non entra come massimo coefficiente? In tal caso questo elemento toglierà od aggiungerà, sia per la debolezza, sia per l'esuberanza del soggetto rappresentatore, sempre alcun che alla sostanza che si voleva rappresentata, in modo da sformarne l'imagine. Così l'arte è allora espositrice della natura all'umanità, quando l'umanità non solo vi riscontri l'aspetto sintetico del mondo esterno, ma quando anche senta nel poema, nell'opera plastica e sinfonica la propria personalità, il proprio «io» collettivo di quel momento e di quello stato.

Il Libro delle Figurazioni Ideali - Gianpietro Lucini - Lib. Edit. Galli di C. CHIESA E GUINDANI - 1894

mercoledì 30 aprile 2008

DEL SINDACO

Art. 94. Il Sindaco è capo della amministrazione comunale ed ufficiale del governo.
Art. 95. La nomina del Sindaco è fatta dal Re scelto fra i consiglieri comunali; dura in ufficio tre anni, e può essere confermato se conserva la qualità di consigliere.


È da notarsi come in forza di questa legge la persona investita dell'autorità di Sindaco venga nominata dal Re, scegliendola però fra i consiglieri comunali, e come ad essa sia assegnato anche un altro incarico, quello di rappresentare il governo, per cui viene ad essere ad un tempo e autorità comunale ed ufficiale governativo, così sarà facile tuttavia il comprendere i motivi di questa disposizione di legge, ove si rifletta che nella mente del legislatore deva predominare l'idea di dar compimento alla gerarchia amministrativa, ponendone il suo rappresentante come primo ed ultimo anello anche nella istituzione comunale, che per sua indole è libera ed indipendente nei limiti voluti dalla legge (ossia nei confini prefittili dagli interessi generali dello stato).
E fu per far omaggio insieme a questa indole delle istituzioni comunali ed alla loro origine, che è e deve essere puramente popolare, che la legge determinava, non potere il Re far cadere la nomina del Sindaco che nei membri del consiglio, nè potere la persona eletta durare in tale qualità allo scadere del triennio, ove non conservi la predetta qualità di consigliere.
Guida alla politica del popolo italiano - Lucio Fiorentini - Tip. Guglielmini 1859

sabato 19 aprile 2008

L'INIZIATIVA NON E' DIETRO A VOI

L'iniziativa non è dietro a voi: essa v'è innanzi. Non è più racchiusa nella teoria dei diritti, formola d'emancipazione individuale che i vostri padri conquistarono,
conchiudendo un'Epoca: non è più nelle parole libertà, eguaglianza, traduzione del doppio aspetto, subbiettivo e obbiettivo, vita propria e di relazione dell' io: non è più in quella fratellanza, figlia dell'eguaglianza, religione individuale, espressione d'un fatto anzichè definizione d'un principio,che unisce senza associare, connette due termini senza dirigere la loro attività collettiva verso la
conquista d' un terzo, e santifica il presente senza creare il futuro.

L'iniziativa è nell' Umanità, nuovo concetto, programma non veduto dai vostri padri:
neh" Umanità che ha per suo metodo il Progresso, come il Progresso ha per suo metodo l'Associazione.

In essa è riposta la religione dell' avvenire. Non v'addormentate nella tenda che v' innalzarono i vostri padri: il mondo s'è mosso: movete con esso. Non rimproverate d'ingratitudine le razze perchè disertano la vostra bandiera del 1789 e salutano
una bandiera, quella della loro madre comune, al di là. Non preparaste voi stessi l'emancipazione che invocano? Non li guidaste al limite ch'oggi tendono ad oltrepassare? Oltrepassatelo con esse. Voi operaste grandi cose nel vecchio mondo: preparatevi ad altre. Non cercate la sovranità nel passato: tentate di coglierla nell'avvenire.
Scritti editi e inediti di Giuseppe Mazzini - G. Daelli Editore - 1861

giovedì 17 aprile 2008

martedì 8 aprile 2008

PROSSIME ELEZIONI

I partiti han cangiato tempra, se non scopo: perocchè la loro composizione è adulterata, ed alterata. Nuovi interessi sorgono, e con essi nuovi elementi di attività e di azione. I colonnelli divengono generali, ed i generali passano ai veterani.
In questo momento tutto fermenta come in una caldaja che bolle: tutto ruota ed ha la vertigine.
Domani, quando le nuove elezioni avranno impresso un movimento regolare a questo agitarsi, aperta o indicata la via che ha uscita e inette capo ad un fine, tutto si arranga, tutto si assetta e l'ordine ricomincia, e con l'ordine viene la forza, l'autorità, la fede. Sciogliere la Camera attuale è una necessità: l'armonia fra i suoi membri è rotta. Fra le sue parti non vi sono più punti di contatto: tutti son punti ed angoli.
Ciò però non altera punto la maestà del Parlamento. — I suoi membri variano, il suo spirito resta. Possono avversare lo scioglimento taluni, che temono non più ritornare. Coloro che hanno la coscienza ferma, coloro che sentono di rappresentare il paese, non sè stessi ed i loro fini, costoro anelano anzi di trovarsi in contatto con i loro mandanti.
Essi vanno a ricevere una parola d'ordine che loro servirà di bussola. La missione del Parlamento non è tanto legislativa ed amministrativa. Al punto in cui si trova l'Italia, essa è affatto politica, è sovranamente nazionale.
Il Parlamento è il simbolo visibile dell'unità d'Italia, parlando, agendo così.
Il resto è secondario.
I Moribondi del Palazzo di Petrugnano di Ferdinando Petruccelli della Gattina - 1862 - Tip. Fratelli Borroni

giovedì 27 marzo 2008

BANCHE, FINANZA, CREDITO.......

Nella sfera delle idee, il capitalista, l'intraprenditore, il proprietario, l'operaio sono soci che cooperano ad un fatto per dividere i vantaggi che ne risultano; ma nell'ordine dei fatti sono in verità esseri che agiscono ognuno per sè, sono astri che appartengono allo stesso sistema, ma che non escono dall'orbita assegnata ad ognuno.
Infatti il capitalista non si associa al proprietario: il capitalista esercita una industria tutta propria, che ha le sue condizioni, le sue leggi, le sue esigenze; se queste combinano con quelle del commerciante, tanto meglio per quest'ultimo: le due industrie prospereranno, aiutandosi a vicenda, per fortuita e felice concordia nelle leggi del loro svolgimento.
Se lo sviluppo dell'industria del capitalista mal si attaglia alle norme che governano l'industria del proprietario, tanto peggio pel proprietario : questi è obbligato ad invocare l'aiuto di una industria che non si accorda colla sua, e che è inesorabile, come tutte le industrie, perchè ognuna ha le sue leggi fatali, dalle quali non si diparte.
Il credito ha sempre luogo; ma non è più una industria che si associa ad un'altra; è una industria che ne rovina un'altra.
Le leggi del credito non mutano in rapporto al mutuante: esse mutano rapporto a coloro che ricorrono a lui: il commerciante si arricchisce, il proprietario si rovina: uno sale la scala, l'altro la scende: ma chi si arricchisce vede diminuire in lui il bisogno di ricorrere ad altri: chi si rovina vede invece aumentarsi in sè il bisogno dell'altrui soccorso; nel primo caso il credito tende a diminuire; nel secondo il credito tende sempre più a moltipllcarsi: i prestiti ipotecari sono rappresentati nel paese da una cifra enorme.
A questo punto appare sulla scena un genio benefico, sotto forma di Banca territoriale, Deus ex machina. Essa porge una mano al capitalista, e stende l'altra al proprietario.
Essa prende l'aspetto del commerciante quando emette cartelle; prende un volto da proprietario quando riceve l'annualità dell'ammortizzamento.
La faccia delle cose è cambiata: il proprietario più non si rovina. Ricorrendo una volta al soccorso altrui, egli non è obbligato a ricorrervi la seconda volta, o la terza: il bisogno di credito non prende troppo vaste proporzioni. La cifra levata dei prestiti ipotecari non tende a crescere tende a diminuire. Non invano è stato introdotto l'elemento dell'ammortizzazione: esso è un elemento fatto per estinguere i debiti, ed esercita la sua azione distruggitrice, che prima non esisteva.
La migliore società non è quella in cui il credito è più avanzato; ma è quella in cui non si ha bisogno di credito.
SOPRA UNA BANCA DI CREDITO FONDIARIO: CENNI di Giuseppe Lombardo Scullica - Tip. Derossi e Dusso - 1862

mercoledì 27 febbraio 2008

IL PIL COME INDICATORE DEL BENESSERE

Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell'ammassare senza fine beni terreni.
Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell'indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto interno lordo (PIL).

Il PIL comprende anche l'inquinamento dell'aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.

Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.

Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l'intelligenza del nostro dibattere o l'onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell'equità nei rapporti fra di noi.
Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.
Può dirci tutto sull'America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani.

discorso di Robert Kennedy 18 marzo 1968 - Università del Kansas

giovedì 7 febbraio 2008

IL POLO CHIEDE ELEZIONI, I RADICALI INSORGONO

Berlusconi e Fini: un governo istituzionale per fare la riforma elettorale, poi alle urne.
Il Cavaliere: si può discutere la proposta del Trifoglio
Il Polo chiede elezioni, i radicali insorgono Bonino e Pannella: è un attacco ai referendum.
Segni e Taradash: per difenderli pronti ad astenerci sulla fiducia

ROMA - La legge elettorale torna al centro del campo politico. Ed è scompiglio nella squadra del Polo quando ieri sera Silvio Berlusconi annuncia di condividere la proposta del Trifoglio di adeguare il sistema elettorale delle politiche a quello, di stampo proporzionale, già in vigore per le amministrative. Un sì («su questa proposta tutti dovremmo approfondire la discussione», dice il Cavaliere) che nelle dichiarazioni resta strettamente legato al varo di un governo istituzionale - come il Polo ha chiesto in mattinata al presidente della Repubblica - ma che una parte del centrodestra legge come la disponibilità a discutere con la maggioranza. Durante le consultazioni al Quirinale Berlusconi ha ripercorso le tappe degli ultimi anni di vita parlamentare, chiedendo alla fine di andare a votare presto con un sistema che garantisca stabilità elaborato da un governo istituzionale. Alleanza nazionale condivide, a tal punto che il suo presidente Gianfranco Fini fa sapere di essere pronto a sacrificare il referendum che ha promosso «di fronte alla possibilità di ridare moralità politica, attraverso le elezioni, al Parlamento».
Più scettico il Ccd, che non vede la possibilità di un percorso parlamentare per la legge elettorale. La posizione del Polo viene criticata dai referendari per eccellenza, i radicali. «La richiesta di elezioni anticipate - commenta Marco Pannella - è demagogica, irresponsabile, sfascista». Con lui, Emma Bonino: «L' urgenza per l' Italia è la difesa dei referendum».
E sulla stessa tesi si schierano Mario Segni e Marco Taradash, pronto ad astenersi durante la fiducia al nuovo governo: un voto contrario in meno fa abbassare il quorum, salvando l' esecutivo ma anche la possibilità di svolgere il referendum per l' abrogazione della quota proporzionale. Ma le parole pronunciate da Berlusconi a sostegno della proposta del Trifoglio creano problemi anche nella coalizione di centrodestra, da sempre divisa tra proporzionalisti (la maggioranza di Forza Italia) e fautori del maggioritario.
Se durante la giornata qualcuno in Alleanza nazionale giurava di non essere affetto da malattia referendaria, mentre altri come Maurizio Gasparri spingevano per il referendum «contro i governicchi», in serata il portavoce di An Adolfo Urso rendeva nota la risposta ufficiale del suo partito: quella della triade Sdi-Upr-La Malfa è un' ipotesi inaccettabile perché «non risponde ai quesiti referendari».
In Forza Italia invece c' è chi ritiene che, in un momento in cui la maggioranza usa come collante interno la lotta all' opposizione, la legge elettorale può rappresentare l' unico terreno di lavoro comune. «Oggi c' è un treno che passa una volta sola - afferma Giuliano Urbani, braccio destro del Cavaliere -. Seguendo il tracciato dei sistemi elettorali delle amministrative, in particolare delle regionali, potrebbe accadere il miracolo, forse ».
Intanto però, mentre si apprende che ieri si sarebbero svolti colloqui tra Berlusconi e Umberto Bossi proprio in materia di sistema elettorale, altri azzurri negano la possibilità di fare qualunque riforma con un governo D' Alema che abbia nel suo programma obiettivi come il conflitto di interessi e la par condicio. «Non credo che nella situazione attuale Berlusconi sia disposto a parlare con la maggioranza - commenta Enrico La Loggia, presidente dei senatori di Forza Italia -. Piuttosto, dovremmo prepararci a una opposizione sempre più dura».
Gorodisky Daria - 21 dicembre 1999 - Corriere della Sera

venerdì 1 febbraio 2008

IDEALISMO E POSITIVISMO

Se per rinascita dell'Idealità si vuole intendere il ritorno dello spirito alle vecchie forme religiose (e indizio di tale ritorno si giudica il misticismo che invade alcuni spiriti contemporanei) io non ho che augurare alla nuova generazione quella robustezza di fibra e quella coltura scientifica che sole possono liberarla da si morbosa idealità.
Ma, se per Ideale s'intende quello stato di perfezione a cui tende l'uomo naturalmente, e il cui desiderio, non mai pienamente soddisfatto, ci affatica in perpetuo verso un orizzonte di giustizia, di libertà e di pace, io non capisco davvero lo scoraggiamento di quei generosi intelletti che vedono l'eclissi e temono il tramonto dell'Ideale a' di nostri.
Che ghi Dei se ne vadano, e con essi parecchie di quelle idee che hanno ingombrato il cammino dell'uomo nella sua perpetua ascensione da carne a spirito, è fenomeno logico e naturale di cui ogni animo spregiudicato ha da rallegrarsi.
Ma che il nuovo concetto scientifico della vita nell'universo ci allontani dagli intenti più alti e più nobili dell'esistenza, è opinione che puo essere soltanto scusata in grazia di quell'affetto che lega la mente ed il cuore dell'uomo al passato; giustificata dalla ragione e dai fatti non mai.
Certo, il positivismo non ha risoluto nessuno di quei problemi che travagliano la vita sentimentale dell'umanità; i problemi dell'origine e del fine della vita. I problemi del male, del dolore, della morte rimangono insoluti.
Ma, se le soluzioni che le altre scuole filosofiche ne ban date non hanno appagato finora la mente umana, devesi riconoscere al positivismo il merito di avere rimosso dal campo scientifico i problemi ch'eccedono la nostra ragione e di avere abban donato alle «morgane » della fede ciò che la mente umana non può assolutamente comprendere.
Il positivismo appare fallito soltanto a coloro che chiedono ad esso, e non tutti in buona fede, ciò che nessuna scienza può dare. Le conseguenze di esso, in ogni caso, non possono, nell'ordine morale e politico che agevolare ed affrettare l'emancipazione dello spirito umano da tutti gl'inciampi opposti dalla fede, dal sentimento, dll'autorità.
Che il positivista abbia distrutto troppo? Non credo; parmi anzi che la lentezza del suo cammino e della sua vittoria per la coscienza provenga dal non avere distrutto abbastanza, e dall'avere adottato certi palliativi, che pensatori come lo Spencer e il Darwin non hanno avuto il coraggio di abbandonare.
Che il positivismo sia buono a demolire, non a edificare? Menzogna.
Alla volontà creatrice esso ha sostituito la necessità naturale; al miracolo l'evoluzione; alle rivelazioni soprannaturali la lotta per l'esistenza e l'eredità fisiologica; al privilegio del regno umano le trasformazioni zoologiche ;all'anima immortale l' eternità della forza; all'annullamento delle cose l'eterna circolazione della vita; alla degradazione dell'uomo il continuo perfezionamento della specie umana; alla morale della speranza e della paura, la morale senza obbligazione nè sanzione; alle religioni mutevoli secondo i tempi i luoghi le razze, il sentimento universale dell'Infinito.
Certo, il cozzo delle vecchie e delle nuove idee genera ancora la confusione, lo smarrimento, la vertigine in molti cervelli. Fra il crepuscolo d'un mondo che ruina e il crepuscolo d'un mondo che sorge molti non si raccapezzano, non distinguono il tramonto dall'aurora. Il sentimento religioso si aggrappa disperatamente al passato, s'illude di trovar la vita là dove regna la morte.
Le istituzioni sedicenti inviolabili ed immortali, sentendosi nella colonna vertebrale i brividi della morte, allargano le gambe, pontano i piedi ,strabuzzano gli occhi e si lusingano con la posa terribile d'impaurire la moltitudine: spauracchi di carta pesta, non riescono neppure a spaventare gli uccelli. Si odono qua e là dei vocioni grossi, dei balbettamenti senili; si fanno propositi sconclusionati; si sognano ritorni impossibili; si tentano imprese da manicomio.
I mestieranti, i ciurmadori, i prestigiatori profittano, s'intende, del buon quarto d'ora per alzar banco; gridano e strombazzano i loro specifici; ipnotizzano la folla, truffano applausi e quattrini, scroccano facilmente quella efimera celebrità, schivata e dispregiata dagli animi probi e dagl'intelletti sublimi.
Ma chi può meravigliarsi di questo fenomeno che si ripete a ogni nuovo orientamento del pensiero, una volta almeno, ogni secolo? Il pensatore sorride mestamente ed aspetta.

Mario Rapisardi - 1907

giovedì 31 gennaio 2008

EPIGRAMMI

RIMARIO ITALICO
Pagnottisti, Metodisti, Wagneristi, Preti tristi, Affaristi, Camorristi, Giornalisti,
Son d'Italia gli Antecristi.

CRISI
Che di nuovo in politica?
Tutti i ministri in massa
Minaccian di dimettersi....
Non v'è più un soldo in cassa?

AGLI ELETTORI
All'urne accorrete,
Nessuno si astenga!
Però, riflettete
Se più vi convenga
Aver deputati
Già sazi e contenti,
O i nuovi affamati
Che affilano i denti.

Fonte: LIBRO PROIBITO DI A. GHISLANZONI - Tipografia Editrice Lombarda - 1878

PER FARE RAGIONE E CONCORDANZA D’ORO E D’ARGENTO

Non è dubbio alcuno, se gli uomini avessero cosí sempre al giusto ed all’onesto riguardo sí come alle volte dall’utile e dal proprio interesse abbagliati trasportare si lasciano, che molti inconvenienti,che tutto dí per diverse cagioni, e in particolare per rispetto dell’oro e dell’argento che si riducono in monete, accadono, corretti affatto rimarrebbono.

E perché alla maggior parte delle genti a questi tempi pare che questi due preciosi metalli siano quasi ultimo fine alquale vengono gli umani pensieri indrizzati (dico quanto per limaneggi mondani); e sí crede, anzi si tien per fermo, che dalla correzione o ver concordanza loro ne seguirebbe che le azioni da essidipendenti si modererebbono ed ogni abuso e disordine levato ne verrebbe; essendo stati alli tempi passati, come anco di presente sono, senza regola ferma e senza ordine universale, nel far danari(com’è manifesto) dispensati, e per ciò ne sono causati, e tutto dí ne nascono, cosí gran disordini nel far pagamenti tanto in un’istessa cittá e da una cittá all’altra quanto anco da una provincia all’altra, e ne nasceranno de’ maggiori, se non vi si provede: laonde, avendo io sopra ciò considerato e discorsone piú volte nella mente mia, e tenendo per fermo che quasi da tutti si desideri che vi sia un solordine col quale si dia ad essi oro ed argento una forma, una lega, un peso, un numero ed un titolo di valore, con i quai mezi siano da tutti li zechieri compartiti in tal proporzione concordante nel far monete,ch’esse restino per sempre nelli loro reali dati valori, e che le giá fatte e quelle che si faranno in una cittá o provincia siano accettate nell’altre cittadi e provincie senza opposizione e impedimento alcuno; ed essendomene poi anco giustificato per via de’ conti, e conosciuto non esser cosa difficile da fare, se ben in apparenza il contrario simostrasse, ed acciò (per cosí dire) tutto il mondo n’abbia a sentire beneficio e consolazione; però mi son proposto di porre insieme questo_Discorso_, che è il vero lume di far conti giusti d’oro e d’argento in concordanza cosí delli non coniati come delli giá ridotti in monete e di quelli che s’avranno da coniare; e, con quella maggior brevitá che fia possibile, darò ad intendere quello che si debba osservare.

Mi riman solo a pregare Nostro Signor Iddio che cosí voglia inspirarei prencipi, de’ quali l’effettuare questo mio proposito è sola incombenza, a far essequire tutto ciò, tanto per lor proprio quanto per commune interesse ed utile; e mi rendo sicuro che i popoli,conosciuta la veritá di tal fatto e maneggio, con animo lieto accetteranno gli ordini facili di questa nuova zeca universale, tanto al mondo necessaria.
Fonte: ECONOMISTI DEL CINQUE E SEICENTO a cura di Augusto Graziani - Laterza 1913