lunedì 13 ottobre 2008

DEL CORSO DELLA MONETA

Io chiamo correre la moneta quel passare ch'ella fa d'una mano in un'altra come prezzo d'opera o di fatiche, sicchè produca, in colui che la da via, acquisto o consumazione di qualche comodità: perchè quando si trasferisce diversamente fa un rigiro inutile, di cui non intendo qui favellare.
Così se il principe destinasse mille ducati, i quali ogni mattina dovessero trasportarsi dalla casa d'un suo suddito a quella d'un altro, un tanto giro nè gioverebbe allo stato, nè accrescerebbe forze o felicità, ma solo molestia e strapazzo a' cittadini. È adunque il corso della moneta un effetto, non una causa
delle ricchezze; e se non si suppongono preesistenti molte merci utili che possano trafficarsi, la moneta non può far altro che un giro vano ed infruttuoso. Perciò quegli ordini che conferiscono a moltiplicar le merci venali sono buoni, gli altri sono tutti cattivi e dannosi.
Stieno in una camera chiuse cento persone con una certa somma di danaro a giuocare. Dopo lungo giuoco avrà il danaro avute certamente iunumerabili vicende, ed altrettante la ricchezza e la povertà de'giuocatori; ma il totale non è nè cresciuto nè diminuito mai, e nel luogo non si può dire variata la ricchezza. Vero è che il mancare il corso impedisce il proseguimento delle industrie e perciò genera povertà, come pel contrario il corso veloce le fomenta; ma chi ben riguarda osserverà, che il corso della moneta può ingrandire e stabilire le ricchezze già cominciate ad essere in uno stato, non generarle ove non sieno.
Sicchè sempre è vero che s'abbia a pensare prima ad aver merci e poi a dar loro il corso, acciocchè vendute e consumate presto le une si dia luogo alle altre di succedere. E vero ancora che un rapido giro fa apparire una non reale ricchezza; come è là dove la nobiltà vive con lusso e spese superiori alle rendite sue, e i
debiti che fa non li paga. I nobili non si persuadono d'essere impoveriti; ma il mercante che numera i suoi crediti come certa ricchezza si stima ricco, e sulla creduta rendita ingrandisce la spesa; fino a che tutti e due, il nobile ed il mercatante, vanno giù poveri e troppo tardi disingannati.
È dunque tanto peggiore un tale rigiro pieno di fantasmi di ricchezze, quanto è peggiore della povertà il credersi ricco e non esserlo.
fonte: Della Moneta - Ferdinando Galiani - Fonderia e Stamperia G.G. Destefanis - 1830

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